L’approccio geofisico allo studio delle aree vulcaniche e sismiche si basa sull’integrazione di dati geodetici (GPS e InSAR), sismici e gravimetrici, che permettono di identificare e modellare le sorgenti deformative profonde. Le serie GPS e i dati satellitari misurano con precisione le deformazioni del suolo, la sismicità aiuta a localizzare le aree attive in profondità, mentre le variazioni gravimetriche rivelano cambiamenti di massa legati a intrusioni magmatiche o migrazione di fluidi.
Un caso emblematico è la caldera dei Campi Flegrei, dove si osserva un sollevamento del terreno iniziato attorno al 2005, ancora in corso con tassi superiori a 10 cm/anno, accompagnato da un aumento di sismicità ed emissione di gas. L’analisi integrata dei dati e la loro modellizzazione possono aiutare a distinguere gli effetti di sorgenti deformative dovuti a un’intrusione magmatica da quelli generati dalla pressurizzazione e dal riscaldamento del sistema idrotermale.
In aree tettoniche attive, l’interpretazione e la modellizzazione dei dati geofisici, che tengono conto delle proprietà elastiche e poro-elastiche del mezzo, permettono di comprendere i meccanismi che prevalgono nelle fasi co- e post-sismiche di un terremoto e l’evoluzione delle sequenze sismiche.
La comprensione delle sorgenti deformative sismiche e vulcaniche è fondamentale per la corretta valutazione dei rischi geofisici.